Carpodacus roborowskii
Carpodaco del Tibet | |
---|---|
Stato di conservazione | |
Rischio minimo[1] | |
Classificazione scientifica | |
Dominio | Eukaryota |
Regno | Animalia |
Phylum | Chordata |
Subphylum | Vertebrata |
Classe | Aves |
Sottoclasse | Neornithes |
Superordine | Neognathae |
Ordine | Passeriformes |
Sottordine | Oscines |
Infraordine | Passerida |
Superfamiglia | Passeroidea |
Famiglia | Fringillidae |
Sottofamiglia | Carduelinae |
Tribù | Carpodacini |
Genere | Carpodacus |
Specie | C. roborowskii |
Nomenclatura binomiale | |
Carpodacus roborowskii (Przewalski, 1887) | |
Sinonimi | |
Kozlowia roborowskii |
Il carpodaco tibetano o carpodaco di Roborovski (Carpodacus roborowskii (Przewalski, 1887)) è un uccello passeriforme della famiglia dei Fringillidi[2].
Etimologia
Il nome scientifico della specie, roborowskii, venne scelto in omaggio al capitano Vsevolod Ivanovich Roborovsky, esploratore russo al seguito della spedizione di Przewalski.
Descrizione
Dimensioni
Misura 17–18 cm di lunghezza[3].
Aspetto
Si tratta di uccelli dall'aspetto robusto, muniti di testa tondeggiante con grandi occhi e becco conico e piuttosto sottile, ali allungate e coda dalla punta lievemente forcuta.
Il piumaggio presenta dimorfismo sessuale: i maschi, infatti, presentano livrea di colore rosa su tutto il corpo, meno che sulla faccia (che è di colore rosso ruggine), sul sottocoda (che è bianco-rosato), su ali e coda (che sono di colore bruno) e sulla gola (dove le penne presentano punta biancastra a dare un aspetto maculato), mentre le femmine mancano del tutto della pigmentazione rossa ventrale, sostituita da un più sobrio e mimetico colore bruno-grigiastro. In ambedue i sessi gli occhi sono di colore bruno scuro con cerchio perioculare nerastro, mentre zampe e becco sono anch'essi nerastri, quest'ultimo con base più chiara e di color avorio.
Biologia
Si tratta di uccelli dalle abitudini diurne, piuttosto schivi e silenziosi, che si muovono perlopiù in coppie e passando la maggior parte del tempo al suolo alla ricerca di cibo.
Alimentazione
Questi uccelli presentano dieta essenzialmente granivora, che si nutrono soprattutto di semi ma anche di germogli, bacche e frutti (specialmente di Pedicularis[3]), nonché (sebbene sporadicamente e soprattutto durante il periodo estivo) di piccoli invertebrati.
Riproduzione
È stato osservato un nido di questi uccelli verso la fine di luglio, costruito con fibre vegetali a forma di coppa e ubicato in una spaccatura della roccia a 4650 m di quota, contenente 5 uova[3]: sebbene manchino ulteriori informazioni, si ritiene che l'evento riproduttivo di questi uccelli non si discosti significativamente per modalità e tempistica rispetto a quanto osservabile nelle specie affini.
Distribuzione e habitat
Come intuibile dal nome comune, il carpodaco del Tibet è diffuso in Tibet, del quale occupa la porzione nord-orientale, ma anche nel Quinghai centrale e sud-occidentale.
L'habitat di questi uccelli è rappresentato dalle aree di steppa rocciosa, dai pascoli alpini e dalle aree argillose montane e submontane con presenza di vegetazione sparsa.
Sistematica
In passato, questi uccelli venivano ascritti sulla base di differenze di carattere principalmente morfologico al genere monotipico Kozlowia Bianchi, 1907, nel quale vengono ancora classificati da alcuni autori[3]: in seguito alle analisi del DNA mitocondriale, tuttavia, è stata ritenuta più corretta la loro ascrizione in seno al genere Carpodacus[2][4].
Note
- ^ (EN) BirdLife International 2012, Carpodacus roborowskii, su IUCN Red List of Threatened Species, Versione 2020.2, IUCN, 2020.
- ^ a b (EN) F. Gill e D. Donsker (a cura di), Family Fringillidae, in IOC World Bird Names (ver 9.2), International Ornithologists’ Union, 2019. URL consultato il 5 dicembre 2016.
- ^ a b c d (EN) Roborovski's Rosefinch (Kozlowia roborowskii), su Handbook of the Birds of the World. URL consultato il 5 dicembre 2016.
- ^ Zuccon D, Prys-Jones R, Rasmussen PC and Ericson PGP, The phylogenetic relationships and generic limits of finches (Fringillidae) (PDF), in Mol. Phylogenet. Evol., vol. 62, 2012, pp. 581-596, DOI:10.1016/j.ympev.2011.10.002. URL consultato il 5 dicembre 2016 (archiviato dall'url originale il 31 agosto 2021).
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